[ È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva. ]
John Keating (Robin Williams), in L'attimo fuggente, 1989

Migrazioni e terrore: saremo capaci di pretendere giustizia, per tutti?

Ieri, 17 novembre, i morti a Lesbo erano 9. Aspettiamo sera per sapere quanti in questa giornata. Un bollettino  quotidiano di perdite umane che non vediamo più, che non riusciamo proprio a guardare. Le persone in fuga da drammi che non siamo capaci ad immaginare neppure ora, dopo i fatti di Parigi, continuano a sperare in una meta pacifica e aperta nei loro confronti.
Noi oggi siamo però in uno stato di lutto e rabbia che rischia di ammorbare il nostro sguardo verso coloro che non hanno colpe, mussulmani o no.
Quelli che, nel tentativo di ammaestrare le nostre coscienze, definiamo con nomi e aggettivi carichi di negatività, come migranti economici, clandestini, e via di questo passo.
Eppure  dovremmo sapere, ormai, quello che accade nei tratti di mare in cui, la disperazione spinge queste persone. Dovremmo sapere quale è stata per loro l'odissea prima di arrivare alle coste. Ormai dovremmo essere informati sulla guerra che sta distruggendo la Siria da ben cinque anni. Della situazione in Libia. Della violenza in gran parti di Africa. Della povertà estrema che un po' ovunque ormai tiene molte persone in uno stato di costrizione ed indigenza. Conosciamo le azioni di molti governi di paesi in cui qualcuno pretende di rinviare i migranti.
Oggi la guerra ci ferisce più vicino. Ma a ben guardare ci ferisce da anni. Anche se per alcuni, molti, troppi, finché c'è distanza, finché ci si può girare dall'altra parte, la guerra, la violenza è perlopiù un sottofondo mediatico, solo una sorta di fastidio. 
Qualcosa ci ha disumanizzato. Ha disumanizzato le tragedie e le ferite che nel Medio Oriente, ma anche in Africa, nelle americhe e in Asia, si consumano quotidianamente.
La povertà delle favelas ci colpisce tutt'al più per un documentario, che per carità duri poco però. Le siccità e le carestie nel sud del mondo non sono buone più nemmeno per sentirci magnanimi  e caritatevoli, le organizzazioni che ci ricordano questi drammi ci scocciano con le loro richieste di aiuto. 
Abbiamo cancellato dal ricordo, dalla narrazione della storia, ogni nostra responsabilità diretta e indiretta per la situazione in cui versano le economie di molti paesi depredati, e quelle di persone incolpevoli e spesso impossibilitate a cambiare il corso delle proprie esistenze, salvo considerare l'emigrazione.
I tempi di oggi invece ci chiedono più consapevolezza del mondo. Più coscienza del significato di povertà. Più attenzione per gli altri. Non fosse altro, quando incapaci di empatia, per la nostra stessa sicurezza.
Dovremmo decidere cosa significa giustizia. Se è ancora un valore. E se è per tutti.
i.

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