[ È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva. ]
John Keating (Robin Williams), in L'attimo fuggente, 1989

La vecchiaia di febbraio


Ho capito di essere vecchia.
L’ho capito lunedì sera, quando i numeri hanno raccontato qualcosa di nuovo, quando il capo di un movimento – forte di quei numeri – ha chiesto a tutti di genuflettersi davanti al nuovo divenuto padrone di un paese.  Divenuto – con la legittimazione dei voti - padrone d’Italia.
Ho capito di essere vecchia perché non ho sentito la necessità, né ora né prima d’ora, di rigenerare e rilanciare la mia e l’altrui sorte attraverso le sole urla e le sole vaghe parole (poi rimane quel “vaffanculo” con il quale è stata titolata, anni fa, una giornata, ma ch’io ricordi è l’unico inequivocabile termine venuto da lì).  Sono vecchia perché non ho sentito di aderire ai moti di distruzione per – c’era scritto su uno dei numerosi post su facebook – staccarsi dalla storia.

No, questa è una cosa che non mi appartiene, che non rientra nel contenuto che invecchiando ho dato al Sessantotto o – prima ancora – alla Guerra di Resistenza. Al contenuto che do al mio presente e al futuro che vedo negli occhi di  mia figlia.
La differenza tra la rottamazione e il cambiamento sofferto sudato creduto persino tradito, sta nel dare una voce al sangue che si è sparso, sta nella coscienza umana che si ribella per  lanciare agli altri, e agli altri lasciare, qualcosa di veramente nuovo.
La differenza tra la rottamazione e il cambiamento sofferto sudato creduto e persino tradito, non sta nel seguitare a dire che gli altri sono finiti, che sono da buttare. Non bastano queste tensioni a fare meglio, ad essere migliori. E non basta  la bella immagine delle biciclette verdi che invadono le città a a liberarle d’un botto e d’un tratto dal frastuono che ha ucciso Marcovaldo.
Questo io penso. E credo anche che le nostre radici sono antiche, e che l’antico fa il paio con la memoria, e che la memoria è faccenda nostra, non è faccenda altrui.
ft
marzo 2013
“Si è cominciato col dire che la guerra mica l’hanno vinta i partigiani, che senza gli alleati sarebbe stata una lotta vana. Chi lo nega?
Ma non è che la libertà ti viene regalata.
(…)
Poi dicono che i morti sono tutti uguali.
Chi ha mai detto il contrario?
Ma da vivi: era da vivi che si era diversi”.

Ferdinando De Leoni “Falco” – partigiano
“Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura di scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue,giustificare chi l’ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si senti capitati sul posto per caso”.
Cesare Pavese

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